Uniti per il rilancio dell'industria

27 Novembre 2014

Conferenza Stampa della Presidenza di Federmeccanica in Roma e in Simultanea dei Presidenti Gruppi Metalmeccanici in 60 Territori

Oggi è una giornata straordinaria per il mondo metalmeccanico italiano, per le sue imprese e per i suoi lavoratori.
Oggi è la giornata dell'orgoglio metalmeccanico, l'orgoglio per le imprese, per l'eccellenza dei suoi prodotti e per il ruolo trainante del settore nell'economia del Paese.
Oggi per la prima volta in 60 città, perno dei territori, si tengono simultaneamente altrettante iniziative con la stampa locale, organizzate dai Gruppi Metalmeccanici che compongono la nostra Federazione.
Tutti insieme per dimostrare con forza la nostra coesione e la nostra determinazione nel raccogliere la sfida della globalizzazione e della modernizzazione e aprire una nuova stagione di crescita e sviluppo del Paese.
È un'iniziativa senza precedenti perché senza precedenti è il momento che viviamo, un momento difficile ma al tempo stesso ricco di opportunità. Opportunità che possiamo e dobbiamo cogliere. Lo faremo se come Paese sapremo riconoscere il grande valore dell'industria manifatturiera: senza industria non c'è produzione di valore, non ci sono posti di lavoro, non c'è reddito, non c'è benessere, non c'è sviluppo, non c'è coesione sociale.
Il settore metalmeccanico è il cuore pulsante dell'industria. Lo è per il suo peso, che è il più rilevante tra tutti i comparti manifatturieri. Lo è per l'alta propensione all'innovazione, che attraverso i suoi prodotti si diffonde a tutta l'economia.
Proprio questa capacità di costante rinnovamento ha permesso alla metalmeccanica di fronteggiare la crisi più grave dell'economia italiana dall'Unità d'Italia, arginando i danni e gettando le basi per il rilancio.
Nonostante i duri colpi inferti dal crollo della domanda interna, molte imprese hanno avuto la capacità di reagire e puntare con ancor più decisione sull'innovazione a 360 gradi: innovazione di prodotto e processo, innovazione di organizzazione e di reti commerciali, innovazione nel servire la clientela e allargamento dei mercati di sbocco, guardando soprattutto a quelli esteri con maggiori potenzialità di crescita.
Ma non siamo qui per fare auto-celebrazione. C'è poco da festeggiare: lo scenario rimane difficilissimo e il rischio di de-industrializzazione è molto alto. Un rischio che vogliamo e dobbiamo assolutamente scongiurare. Insieme ci riusciremo.
Ora siamo giunti a un bivio. Di fronte ai devastanti effetti della crisi, alle ferite profonde inferte alla nostra capacità produttiva, siamo chiamati a compiere scelte e ad agire coerentemente.
Non ci sono alternative.
Da una parte ci sono il declino strutturale e l'emarginazione. Dall'altra c'è l'uscita dal tunnel, intraprendendo un nuovo percorso di sviluppo. Siamo consapevoli della portata di questa sfida. Ma la affrontiamo con coraggio e siamo certi che il nostro sistema metalmeccanico abbia tutte le potenzialità per diventare leader a livello globale nelle produzioni a tecnologia più avanzata, pioniere dell'industria 4.0.
Perciò lanciamo oggi un messaggio di fiducia alle imprese, ai lavoratori, alle parti sociali e alle istituzioni del Paese.
Le imprese metalmeccaniche sono pronte a fare la loro parte con la forza delle idee, la creatività, la qualità e l'entusiasmo che hanno fatto del Made in Italy metalmeccanico un sinonimo di eccellenza e di successo in tutto il Mondo.
Chiediamo a tutti di dare il loro sostegno e di contribuire a liberare l'impresa dai pesi che la opprimono, di rilanciare l'industria, aumentare l'occupazione e conquistare lo sviluppo.
L'Italia ha bisogno di una Politica Industriale per la Meccanica.
Non basta intervenire solo su alcuni dei tanti problemi che affliggono il Paese, gli interventi devono essere organici e devono tenere conto del quadro di insieme.
E' necessario mettere in campo una pluralità di azioni coordinate. Tasselli di un mosaico che definisca una Politica Industriale ad ampio spettro.
Solo così potremo evitare che le limitate risorse vengano sprecate in interventi estemporanei.
Dobbiamo focalizzare tutti gli sforzi e tutti gli interventi in un disegno di grande respiro, abbandonando ogni tentazione di adottare misure non inserite in una progettualità olistica.
Questa è la priorità, questo è il tema che deve trovare spazio in cima alle agende della Politica, delle Istituzioni e delle Parti Sociali.
Dobbiamo quindi lavorare su tre fattori di rilancio:

  • la domanda interna, che non va ulteriormente depressa e anzi va risollevata con maggiori investimenti;
  • un mercato del lavoro efficiente ed inclusivo in un sistema che stimoli la partecipazione e la produttività;
  • Industry 4.0, la nuova rivoluzione industriale che trasformerà, nei prossimi anni, i nostri mercati, le nostre produzioni e le nostre aziende.

Queste sono le nostre idee. Le nostre idee sono sempre state la nostra forza, messa al servizio della comunità.
Ci siamo sempre impegnati per la crescita e lo sviluppo delle Imprese, del Territorio e del Paese. Abbiamo svolto un ruolo sociale e continueremo a farlo.
Devono essere superati una volta per tutte quegli stereotipi che rappresentano gli Imprenditori come fossero i padroni del vapore dell'Ottocento.
Siamo ben altro: nel panorama internazionale, il nostro sistema manifatturiero rappresenta un unicum perché fondato su un capitalismo di persone, organizzato in reti, distretti e filiere specializzate nello sviluppo di innovazioni d'uso.
Non solo, rivendichiamo una coscienza civica ed un'etica profonda. Nel nostro agire e nel nostro fare impresa.
L'Impresa è un Bene Sociale che va tutelato e promosso in ogni strato e ad ogni livello della Società
Metteremo in campo ogni azione, faremo campagne di diffusione di una nuova cultura che scongiuri il ritorno di qualsiasi forma di lotta di classe e che vada oltre la demagogia ideologica.
Una cultura positiva fondata sulla trasparenza, la lealtà, la partecipazione e la creazione di valore per tutti.

L'industria metalmeccanica: numeri poco conosciuti

Nell'immaginario collettivo, così come nell'opinione di investitori ed esperti italiani e stranieri, l'Italia è la patria della moda, del design e dell'ottimo cibo. Questi settori sono importanti e rappresentano un vanto per tutti noi. Nella realtà ciò che costituisce la colonna vertebrale dell'economia italiana è l'Industria Metalmeccanica.
Ciò significa che non è ancora adeguatamente compresa l'importanza dell'industria metalmeccanica. Occorre quindi una profonda riflessione sui dati quantitativi e qualitativi dell'industria metalmeccanica rispetto al settore manifatturiero e, più in generale, all'intero sistema economico nazionale.
I numeri parlano da soli e dicono con chiarezza che l'industria metalmeccanica è il motore della nostra economia. Occorre allora farlo girare alla massima potenza. Non possiamo permetterci di sottoutilizzarlo o, peggio, di farlo spegnere. Se si ferma la meccanica si fermano l'industria e l'intero Paese.
Per dimensione di occupati, con circa 1,8 milioni di persone, siamo secondi solo alla Germania e molto più avanti di paesi di più antica industrializzazione come Francia e Regno Unito.
Nel nostro Paese l'industria metalmeccanica fattura circa 400 miliardi di euro, contribuisce per circa l'8% alla formazione del PIL e per quasi la metà alla ricchezza prodotta dal settore manifatturiero.
La metalmeccanica vende all'estero prodotti per quasi 190 miliardi di euro, oltre la metà dell'intero export italiano, con un attivo nell'interscambio commerciale pari a 65 miliardi di euro, attivo che è pari a più di due terzi dell'intero surplus manifatturiero italiano e quindi dà un contributo essenziale per pagare la bolletta energetica e il conto delle altre materie prime di cui siamo poveri e che comperiamo all'estero.
Non è retorico affermare che senza il metalmeccanico e senza la sua capacità di competere, il nostro standard di vita si abbasserebbe notevolmente perché non potremmo permetterci di acquistare tutti i beni che oggi importiamo e che soddisfano bisogni anche primari.
Questo ruolo fondamentale deve essere riconosciuto all'industria metalmeccanica, che deve cominciare a contare in Italia e in Europa per quanto pesa effettivamente.

Ancora nel tunnel della recessione

L'economia italiana non riparte, anzi è tornata in recessione nel secondo e nel terzo trimestre di quest'anno.
Dall'indagine trimestrale che Federmeccanica conduce da moltissimi anni emerge che anche il nostro settore continua a soffrire.
Nei tre mesi luglio – settembre, infatti, la produzione metalmeccanica è diminuita di un ulteriore 1,5% rispetto al precedente trimestre e di -1,9% rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente.
Risultati di gran lunga peggiori rispetto a quelli conseguiti dagli altri paesi europei, anch'essi, comunque, interessati da una fase di sostanziale rallentamento.
Nella media dei paesi UE nel terzo trimestre del 2014 la produzione metalmeccanica ha evidenziato una crescita tendenziale pari a +1,2%; la Germania ha messo a segno un +1,7% mentre in Francia e Spagna i volumi produttivi dell'industria metalmeccanica si sono confermati sugli stessi livelli di un anno prima.
Sui risultati del nostro settore ha pesato la stagnazione della domanda per beni di consumo e l'ulteriore diminuzione di quella per beni di investimento mentre le vendite sui mercati esteri hanno subito nei mesi più recenti un forte rallentamento.
Complessivamente nel periodo gennaio-agosto dell'anno in corso le esportazioni sono aumentate di un modesto +0,8% risentendo da un lato della debole congiuntura che sta interessando i paesi dell'area euro e dall'altro delle tensioni del vicino Medio Oriente e del conflitto tra Russia e Ucraina. Le esportazioni metalmeccaniche verso la Russia sono diminuite dell'11% nei primi otto mesi dell'anno, con un forte progressivo peggioramento. All'opposto i buoni risultati ottenuti in Cina (+12,4%) e USA (+13,7%) verranno consolidati grazie all'indebolimento dell'euro.
L'occupazione nelle imprese metalmeccaniche con oltre 500 addetti nei primi otto mesi del 2014 è diminuita dell'1,1% e nel periodo gennaio – settembre le ore di CIG autorizzate sono state pari a 327 milioni, con un +1,0% rispetto ai livelli record dell'anno precedente.
La fase recessiva del settore metalmeccanico, in presenza di un portafoglio ordini in significativo ridimensionamento, proseguirà almeno fino al primo trimestre 2015. E vengono confermate negative le dinamiche occupazionali.

Ma non chiamiamola congiuntura

La caduta della produzione dura da così tanto tempo ed è stata così profonda che certo non può essere confusa con una negativa ma passeggera fase congiunturale. Siamo in presenza, ormai è evidente a tutti, di un ridimensionamento strutturale, ancora una volta ben fotografato dai numeri della nostra indagine che dipingono un quadro a tinte sempre più fosche.
Rispetto al primo trimestre del 2008 l'industria metalmeccanica ha perso il 32,6% dei volumi produttivi ed oltre un quarto del capitale fisso installato. Siamo ben oltre le pur drammatiche cifre del PIL italiano, che è caduto del 9,4% rispetto ai massimi pre-crisi.
D'altra parte ricordiamo che la domanda interna di prodotti metalmeccanici è crollata. Per avere un'idea, gli investimenti in macchinari e attrezzature, di cui il settore metalmeccanico è produttore quasi esclusivo, si sono ridotti del 26% e i consumi di beni durevoli del 29%.
Alla forte contrazione della domanda interna si è contrapposta la buona performance delle vendite all'estero, grazie alla capacità delle imprese di diversificare le attività e fronteggiare la concorrenza internazionale nonostante molte condizioni di svantaggio.
Così l'export metalmeccanico è tornato ai valori record del 2007; va tuttavia ricordato che nello stesso arco temporale il commercio mondiale è cresciuto del 35,4%.
L'erosione della competitività di costo, che prosegue ormai da molti anni a causa dell'aumento delle retribuzioni non in linea con l'andamento della produttività, ha penalizzato sia la dinamica della produzione settoriale, sia quella dell'export.
Inoltre è noto, ma non di meno da sottolineare, che le nostre imprese operano in un ambiente competitivo sfavorevole.
Tra le tante classifiche internazionali, prendiamo quella del World Economic Forum che ci colloca in 49^ posizione per competitività globale; con un 138° posto per la pressione fiscale sulle imprese e un 137° posto per la rigidità del mercato del lavoro.
E ancora, nella graduatoria della Banca Mondiale sulla facilità del fare impresa l'Italia è in 56^ posizione, gli Stati Uniti sono 7^, il Regno Unito 8^ e la Germania è 14^.
Solo per fare alcuni esempi, nel nostro Paese un imprenditore deve dedicare 269 ore l'anno per gli adempimenti fiscali rispetto ai 218 della Germania, ai 137 della Francia e ai 110 della Gran Bretagna. Per ottenere una licenza edilizia da noi sono necessari 233 giorni, in Germania 96, mentre per un allaccio dell'energia elettrica un'impresa italiana dovrà aspettare 124 giorni, un'impresa tedesca solo 28.
Non servono altri commenti. Serve una cura shock, servono azioni immediate per rimuoverei gli ostacoli che rendono difficile e faticoso "fare" manifattura in Italia. Occorre liberare l'impresa dai troppi vincoli che la bloccano.

Riforme strutturali per liberare l'impresa e ricostruire la fiducia

La cura shock deve partire anzitutto dalle riforme strutturali. L'agenda è nota e lunga, perciò occorre concentrarci su alcune priorità e realizzarle presto e bene. Per dare al Paese un chiaro segnale di svolta e di cambiamento, quel segnale che tutti da troppi anni ci attendiamo e che l'attuale Governo sta lavorando con lena per darci.
Occorre favorire un nuovo Rinascimento dell'Industria, unica vera fonte di sviluppo e crescita dell'occupazione.
E occorre ricostruire la base di fiducia dei cittadini. Il buon funzionamento delle istituzioni si fonda infatti sulla fiducia, la fiducia delle famiglie e delle imprese verso chi governa e la fiducia trasmessa da chi governa alla società civile sulla capacità di realizzare un progetto che rimetta in moto il Paese.
Non vi è dubbio che oggi domina un senso di sfiducia nei confronti della rappresentanza politica dovuta alla percezione di scollamento tra l'azione di chi governa e i problemi reali dei cittadini.
L'attuale Governo è riuscito a diffondere aspettative positive impegnandosi a realizzare significativi cambiamenti in molti ambiti. Ora è chiamato a concretizzare quegli impegni per far sì che le aspettative si trasformino in fiducia. E nell'immediato il banco di prova è costituito dalla legge elettorale e dalla riforma del mercato del lavoro.
Una legge elettorale che dia a chi vince una solida maggioranza per governare è il primo indispensabile passo a favore del cambiamento. Assieme al cambiamento della Costituzione, già avviato, per superare l'astrusità del bicameralismo perfetto, serve a dare al Paese un assetto istituzionale moderno e snello. Solo così potremo migliorare le leggi in tempi rapidi.
La complessità del quadro istituzionale è la prima fonte dell'incertezza sui tempi e sull'esito dell'applicazione delle regole.
Il bicameralismo perfetto, oltre a rendere tortuoso e farraginoso il percorso di approvazione delle norme, determina la frequente deformazione dei provvedimenti inizialmente configurati, con la conseguenza di alterarne il contenuto in maniera sostanziale e ridurne quindi l'efficacia e la portata.
Il superamento del bicameralismo perfetto che è stato avviato negli ultimi mesi rappresenta il giusto viatico per muoversi verso la semplificazione e la razionalizzazione.
Ma non basta certo rendere più veloce ed efficace l'iter parlamentare se poi tutto si blocca nell'ingolfamento di regolamenti e decreti attuativi.
A fine ottobre era stata attuata solo la metà dei provvedimenti necessari per rendere efficaci le manovre varate dagli ultimi tre governi con lo scopo di rilanciare l'economia.
Un governo che governa e norme più semplici e chiare sono la precondizione per migliorare l'efficienza della pubblica amministrazione. L'incertezza è il primo nemico degli investimenti e dell'attività imprenditoriale.
La "cosa" pubblica deve avvicinarsi alle persone, agli individui ed alle imprese con un rapporto più immediato, diretto e positivo. Deve essere uno stimolo e non un freno, dare certezze e sicurezze, senza alimentare senso di spaesamento che limita le iniziative.
Anche i tempi lunghi della giustizia costituiscono per le imprese un vero e proprio freno ad operare perché minano la certezza del diritto.
In Italia i giorni necessari per giungere a sentenza in un contenzioso civile sono mediamente pari a 1132 (cioè quasi quattro anni), più del doppio dei 544 negli altri paesi dell'Unione Europea.
Il rafforzamento del Tribunale per le imprese con termini brevi e perentori e il potenziamento degli arbitrati, con esclusione in questi casi del ricorso alla magistratura ordinaria, sono solo due esempi dei primi e fondamentali interventi per venire incontro a chi ancor oggi attende, da anni, una sentenza; anni non settimane né mesi.
In ultimo la Scuola e l'educazione in generale, che rappresenta il fondamento della Società, la base su cui si costruisce il nostro Futuro.
Siamo rimasti indietro, troppo indietro, considerando che in Italia, soltanto il 9 % degli studenti avvia percorsi di alternanza rispetto al più del 40 % della Germania.
La profonda frattura tra il mondo del lavoro e l'istruzione è un male che deve essere curato con interventi rapidi ed incisivi.
Occorre soprattutto investire sull'alternanza sia in termini di nuovi e diversi programmi didattici che contemplino presenze obbligatorie in azienda e materie rispondenti anche ai bisogni delle imprese, sia in termini di incentivi per quelle realtà imprenditoriali che investiranno risorse per svolgere questo importantissimo ruolo sociale.
Il Piano Buona Scuola contiene buoni propositi che ora devono tradursi in buone azioni.

Un mercato del lavoro incentrato sulle persone e a misura dell'era globale

La fiducia è l'ingrediente principale di ogni rapporto di lavoro e del buon funzionamento del mercato del lavoro in generale.
Il mercato del lavoro italiano deve adeguarsi alla sempre più rapida evoluzione dell'economia globale e alle riorganizzazioni imposte dalle nuove tecnologie.
Noi siamo convinti che le nuove regole del lavoro debbano mettere al centro la persona.
Dobbiamo ambire ad un mercato del lavoro che sia efficiente ed inclusivo, superando quella frammentazione che per troppo tempo ha determinato forti divari di tutele e opportunità tra insider ed outsider, impattando al contempo negativamente sulla competitività delle imprese.
Flessibilità nei contratti e politiche attive devono essere due facce della stessa medaglia, perché si realizzi quella dinamica necessaria a rispondere alle istanze del mercato senza penalizzare la persona.
Nella nostra concezione di mercato del lavoro la persona sta al centro e riteniamo che una politica di sviluppo non possa prescindere da misure volte a creare conoscenze e competenze che costituiscono la più efficace tutela dell'individuo, al fine di realizzare stabilità e crescita professionale nella mobilità lavorativa.
Crescita e coinvolgimento delle persone, senso di appartenenza e condivisione degli obiettivi aziendali sono valori fondamentali per le imprese.
Vogliamo ribadire una semplice verità. L'imprenditore non crede nel licenziamento. L'imprenditore crede nello sviluppo, nell'occupazione e nella valorizzazione dei collaboratori.
Le persone sono il patrimonio più importante dell'industria di oggi e di domani.
Un patrimonio prezioso, sociale ed economico, che l'imprenditore non vuole perdere o disperdere.
La cessazione di un rapporto di lavoro è oggi e sarà sempre l'estrema ratio.
Quando si verifica vuol dire che non ci sono altre soluzioni e allora deve intervenire una tutela più ampia, che va al di là della difesa del posto di lavoro. Si deve realizzare la tutela del lavoratore.
Imprese, parti sociali e intervento pubblico possono e devono far sì che questa tutela si concretizzi attraverso la creazione di professionalità, attraverso l'accompagnamento attivo al ricollocamento, attraverso forme di sostegno del reddito. In una parola: attraverso l'inclusione. Anche di chi fino ad ora non ha avuto l'opportunità di entrare nel mercato del lavoro, se non come disoccupato.
Mettere al centro la persona rafforza il rapporto di lavoro, perché riconosce e valorizza le specificità di ciascun individuo.
Il pieno coinvolgimento delle persone si realizza attraverso l'investimento in formazione, la condivisione di progetti professionali, in una visione dinamica che interessa tutti gli elementi del rapporto di lavoro, compresi mansioni e orari, grazie ad intese non solo con le organizzazioni sindacali ma anche con i singoli, con l'obiettivo di rispondere ai bisogni di entrambe le parti.
Crediamo nel riconoscimento del merito e nelle misure come il welfare aziendale, che deve essere incentivato e stimolato grazie anche alle sue ricadute positive sui costi pubblici di sanità e previdenza.
In questo quadro le regole che disciplinano il rapporto di lavoro devono essere semplici, certe ed esigibili.
La semplificazione e la certezza sono principi cardine per realizzare un vero "Rinnovamento" sia a livello legislativo sia a livello contrattuale.
I contratti non potranno che essere sempre più snelli ed orientati verso un forte decentramento in modo tale da rispondere al meglio alle esigenze delle imprese e delle persone, attori principe.
E' necessario quindi un nuovo patto tra impresa e lavoro, una partecipazione che sia responsabilizzazione di ogni soggetto, di ogni singolo individuo.
Gli obiettivi aziendali devono essere condivisi e devono allinearsi con quelli individuali, per realizzare una sempre più profonda collaborazione tra tutti coloro che operano nell'Impresa.
Crediamo nel pieno coinvolgimento e miriamo alla crescita delle persone e delle Imprese.
Sono cruciali lo stretto collegamento tra salari e produttività, il superamento di duplicazioni economiche e normative e la realizzazione di adeguate flessibilità organizzative, in un quadro di norme adattabili alle singole specificità ed individualità, così da favorire la crescita e lo sviluppo delle Aziende e, con esse, delle risorse umane.
Per realizzare un quadro generale di regole semplici è indispensabile il riordino degli assetti della contrattazione collettiva, da un lato, e dei vari contratti di lavoro, dall'altro.
Il cambiamento delle regole non crea di per sé nuova occupazione ma lo fa e costituisce un importante volano per la crescita, se è funzionale al recupero di produttività e di efficienza, in modo da rendere sostenibili gli aumenti retributivi.
Ciò non accade da oltre un decennio. Dal 2000 al 2013, infatti, il costo del lavoro per unità di prodotto nel settore manifatturiero è aumentato in Italia del 36,7%, mentre in Germania è addirittura diminuito dell'1%.
Questo perché l'aumento del costo del lavoro è stato del tutto disallineato e molto superiore all'incremento della produttività, che nel periodo è stata pari al 9,6%. In Germania e Francia è risultato del 32,5% e del 46,1% rispettivamente.
Un sistema contrattuale che non considera l'andamento della produttività nello stabilire l'incremento delle retribuzioni non stimola nemmeno l'efficienza.
Di fondamentale importanza è il mantenimento ed anzi l'estensione degli sgravi fiscali e contributivi previsti per la retribuzione variabile, legata ai risultati aziendali.
Deve essere incentivata ogni forma di collegamento tra salari e produttività anche se di fonte non contrattuale. Se si vuole stimolare la retribuzione legata alla produttività dobbiamo considerare la natura non la fonte della stessa.
Ma oltre a crescere molto più della produttività il costo del lavoro in Italia è caratterizzato da una enorme distanza tra quanto pagano le imprese e quando ricevono in busta paga i lavoratori. Il cuneo fiscale e contributivo è pari al 53,1% del costo del lavoro, in Germania è del 49,3%, in Francia del 48,9% e nel Regno Unito del 31,5%, mentre la media UE è di circa il 44%.
Perciò va apprezzato il contenuto della Legge di stabilità che segna un'importante discontinuità rispetto al passato dando priorità, nei limiti consentiti dallo stato dei conti pubblici, al sostegno dell'economia rispetto all'obiettivo del pareggio di bilancio, in una situazione economica del paese a dir poco drammatica.
Valutiamo, infatti, positivamente l'esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile IRAP e la riduzione per tre anni dei contributi sociali a carico delle imprese sulle assunzioni a tempo indeterminato che verranno effettuati nel corso del 2015.
Non possiamo però dire altrettanto della misura che prevede retroattivamente per l'anno in corso l'incremento al 3,9% dell'aliquota Irap rispetto al 3,5% introdotto solo sei mesi fa.
Analogamente pone dubbi e perplessità la misura che prevede la possibilità, anche se su base volontaria del lavoratore, dell'inserimento in busta paga del TFR maturando. Perplessità che riguardano sia le ripercussioni finanziarie che potranno crearsi nelle imprese con meno di 50 dipendenti alla fine del periodo sperimentale fissato in un triennio, sia le pensioni integrative dei lavoratori che avevano, in precedenza, optato per i fondi pensione.
Analogamente non condivisibile è l'incremento dell'aliquota per la tassazione dei fondi pensione. Si va a colpire uno strumento sociale ed economico. Così si colpisce il futuro.
Pensiamo che per la prima volta dopo molti anni si sia finalmente imboccata la strada giusta, pur tra mille difficoltà ed alcune incertezze che devono essere superate per continuare a fare passi avanti e non farne indietro.

Senza domanda l'economia non riparte. Rilanciare gli investimenti

Il rilancio della crescita e dello sviluppo non può prescindere dal sostegno convinto agli investimenti pubblici e privati.
Come ha affermato il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, l'aumento degli investimenti (pubblici e privati) è cruciale per la ripresa. Per gli investimenti privati occorre rendere il contesto più favorevole e aprire nuovi canali finanziari alternativi a quello bancario.
Maggiori investimenti pubblici in infrastrutture possono invertire la tendenza della domanda aggregata e innescare la ripresa. "Aprire i cantieri" porterebbe lavoro ed occupazione, quindi fiducia, crescita e sviluppo.
Occorre sostenere gli investimenti privati in macchinari e attrezzature, in ricerca e innovazione.
Il sostegno agli investimenti è spesa pubblica "produttiva" che ha un ritorno generando più alto reddito, con effetti moltiplicativi sull'occupazione e sui consumi, e aumentando la competitività.
Questa spesa pubblica deve essere finanziata sia con gli stanziamenti già previsti dal decreto sblocca Italia e dalla legge di stabilità, sia tagliando gli sprechi con coraggio e determinazione, in modo da destinare le risorse agli interventi fondamentali per la crescita.
La spending review non deve arenarsi tra corporativismi ed interessi di parte. Il bene comune deve prevalere. Ed allora dobbiamo essere più incisivi nelle attività di razionalizzazione, a tutti i livelli, senza timori o remore.
Andranno inoltre utilizzati al meglio i finanziamenti di 300 miliardi di euro previsti dal piano straordinario Juncker, nel prossimo triennio, a sostegno degli investimenti pubblici e privati nei Paesi dell'Ue.
Un cambiamento di passo è imperativo anche per gli investimenti in ricerca e sviluppo: l'Italia spende troppo poco (l'1,3% del PIL contro il 2,9% in Germania). Ma abbiamo forti potenzialità inespresse, da sfruttate al meglio e su cui fare leva.
Non ci possiamo quindi sorprendere se esiste un ampio gap che penalizza l'Italia anche nella ricerca industriale, evidente nel modesto 1,3% di quota mondiale di brevetti contro l'8,1% della Germania.
Le imprese italiane della meccanica spendono in ricerca e sviluppo più delle francesi e delle spagnole (1.168 milioni di euro complessivi contro rispettivamente 995 e 225) ma molto meno delle tedesche (4.903 milioni).
Le misure introdotte dalla legge di stabilità sono positive perché, per la prima volta, coprono un orizzonte temporale medio (durano cinque anni). Ma sono limitate nell'ammontare delle risorse (500 milioni) e nel premiare solo gli investimenti aggiuntivi.
Incentivi ed investimenti qualificanti debbono essere pensati anche con riferimento alla riduzione del costo dell'energia, che va sostanzialmente abbattuto per quelle aziende virtuose che investono sull'eco sostenibilità, che producono quindi effetti positivi in termini di efficienza energetica e di salvaguardia dell'ambiente.
Riforma del fisco e alleggerimento del carico di imposte che grava sulle imprese è un'altra grande priorità. Soprattutto, è scandalosa la tassa patrimoniale sui macchinari, che non sono una fonte di rendita ma fattori di produzione i cui frutti sono già assoggettati all'imposizione ordinaria sul reddito d'impresa.
Già gli utili aziendali in Italia si sono ridotti molto per effetto della crisi. In rapporto al valore aggiunto sono, nel manifatturiero, al minimo storico. Anche a causa del forte aumento del costo dell'energia avvenuto in questi anni a causa degli incentivi eccessivi alle fonti rinnovabili. Se per giunta questi utili vengono tassati più che negli altri paesi è difficile che si creino le condizioni oggettive per investire.
In Italia il peso del carico fiscale, al netto dell'intervento sulla componente lavoro dell'IRAP, rimane ancorato ad un insostenibile 62,4 %, rispetto alla media UE che è inferiore al 42%. E' impensabile che si possa investire, se i profitti vengono erosi in misura così consistente. E' un peso che schiaccia, che inibisce qualsiasi tipo di programma di sviluppo, costringendo le Imprese, specialmente le PMI, ad una quotidiana lotta per la sopravvivenza.
Inoltre, per favorire una significativa ripresa degli investimenti, occorre riaprire il canale del credito e comunque favorire l'accesso a fonti di finanziamento alternative ai presiti bancari.
È in particolare positiva l'azione di rafforzamento del Fondo di Garanzia per le Pmi realizzata negli ultimi anni e che dovrà, tuttavia, continuare anche in futuro per favorire un più ampio e automatico accesso delle imprese al Fondo.
In tale ambito, particolare rilievo assume la modalità di intervento del Fondo, attivata di recente, a copertura di portafogli di crediti. Tale modalità di intervento può e deve essere ulteriormente potenziata, al fine di rafforzare la funzione stessa del Fondo di garanzia, che mira a determinare aumento dell'offerta di credito da parte delle banche per un numero più consistente di imprese, soprattutto di più piccole dimensioni, che oggi non riescono a fruire dei finanziamenti necessari allo sviluppo dell'azienda e alla sua crescita dimensionale.
Un ulteriore sforzo da parte dello Stato dovrebbe consistere nel completamento del processo di smaltimento dei debiti della pubblica amministrazione; apprezziamo quanto fatto dal Governo fino a oggi, ma rimane ancora molto da fare da parte delle amministrazioni locali.
Occorre inoltre, anche alla luce delle recenti disposizioni del DL Destinazione Italia che hanno introdotto norme per promuovere l'investimento di fondi pensione e compagnie di assicurazione in strumenti finanziari alternativi, favorire un effettivo mutamento nelle forme di investimento dei fondi di previdenza complementare, al fine di far affluire una quota più ampia delle risorse finanziarie disponibili al sistema produttivo nazionale, tenendo presente che attualmente gran parte di quanto destinato ai fondi da imprese e lavoratori viene investito in titoli di Stato e mercati finanziari esteri.

Industry 4.0: il futuro è già cominciato

Il futuro della manifattura e in particolare della meccanica è racchiuso in Industry 4.0.
È una sfida che non possiamo mancare: le nostre imprese devono evolvere verso la quarta rivoluzione industriale, sfruttando al massimo il nuovo paradigma tecnologico che incorpora direttamente nei prodotti le più recenti tecnologie informatiche ed elettroniche (cloudcomputing, Big Data, cyber security, robotica) abilitando processi produttivi distribuiti e votati alla personalizzazione di massa, trend appena toccati dall'avvento della stampa 3D e amplificati dall'internet degli oggetti, ovvero la connettività totale.
Queste nuove tecnologie non sono più solo un supporto per l'automazione dei processi produttivi, ma vengono integrate in oggetti, materiali, apparecchiature e ambienti che diventano così sistemi-prodotto cyber-fisici intercomunicanti e dotati di "intelligenza".
Il sistema italiano sta muovendosi verso Industry 4.0, ma ancora troppo lentamente.
Eppure, anche qui possiamo vantare un buon punto di partenza: da un lato l'automazione industriale-robotica vede l'Italia, insieme alla Germania, tra i Paesi europei più sviluppati. Abbiamo infatti uno stock consistente di robot industriali, 155 ogni 10.000 occupati, 255 la Germania, 135 la Spagna, 126 la Francia.
Dall'altro lato, la grande capacità manifatturiera italiana con marchi di eccezionale importanza a livello globale, non può che beneficiare di una piattaforma compiutamente digitale che permette una esposizione virtuale dei prodotti a una audience e una utenza globale, grazie alle potenzialità della rete e dei nuovi modelli di business pilotati dalle community online.
In questo senso il paradigma suggerito da Local Motors, che produce veicoli "locali" grazie a una community online di 35.000 professionisti, è di grande potenzialità se applicato alle nostre produzioni.
La vera opportunità è che proprio chi realizza e soprattutto chi costruisce componenti di piattaforma, ha la possibilità, dotandosi degli opportuni accorgimenti elettronici e digitali, di aggregare filiere produttive innovative e potenzialità inesplorate per i propri prodotti ampliando una offerta sempre più vicino al cliente finale.
L'unione della meccanica e del digitale, pensati come sistema integrato e incipit alla formazione di nuove professionalità, può diventare uno dei settori trainanti di rilancio dell'economia italiana.
L'intelligenza delle macchine dovrà integrarsi con il sapere delle persone che saranno la vera anima di questa nuova rivoluzione Industriale.
"Il lavoro di domani non potrà che essere quello di creare conoscenza che sarà usata da macchine, e di insegnare alle macchine come usarla"
Dobbiamo quindi creare le conoscenze e le competenze adatte a sviluppare queste nuove tecnologie mettendo al centro la persona. Competenze sia tecniche specifiche, ma anche multidisciplinari, per miscelare con maestria competenze di domini differenti e farne sintesi originali e innovative.
Dentro le imprese si devono sviluppare gli stessi fenomeni che danno luogo alle start up, dove è proprio la centralità dell'individuo "ideatore" a stimolare con creatività la nascita di nuova domanda attraverso l'offerta di prodotti e servizi innovativi di cui prima non si sentiva il bisogno.
Di più, le imprese devono lavorare con le start-up, adottarle o generarne di nuove. Serve un patto tra industria esistente e industria nascente per generare una radicale innovazione di Sistema.
La generazione di nuove competenze, la creazione di nuove specializzazioni su nuovi linguaggi di programmazione e la capacità di sintesi multidisciplinare, è la sfida che dobbiamo raccogliere oggi per guidare il cambiamento in atto e non farci travolgere da esso.
Dovrà esserci un mutamento non solo, e forse non tanto, nel contenuto della conoscenza che si acquisisce nella formazione scolastica e universitaria, quanto piuttosto nelle caratteristiche che l'ambiente di apprendimento deve avere per facilitare la costruzione di un sapere "significativo", un ambiente cioè nel quale si abbia la possibilità di apprendere in modo attivo, intenzionale, autentico e collaborativo.
Per offrire un ambiente di apprendimento con queste caratteristiche è necessario guardare oltre la scuola e integrare l'offerta formativa proveniente da essa con esperienze laboratoriali e aziendali che garantiscanoil learning by doing.
Anche se le macchine diventeranno "intelligenti," le persone saranno sempre centrali nel gestire e controllare i processi e la progettazione: la centralità della persona comincia dalla sua formazione e quindi dalla scuola e per continuare poi in azienda.
Le imprese dovranno profondere un grande impegno nel proporsi come veri soggetti formatori. Per questo saranno necessarie leve motivazionali, ma anche incentivi sia economici, che abbattano il costo del lavoro, sia normativi, per quelle imprese che mostrano grande responsabilità sociale nella formazione dei giovani.
Così come è auspicabile che ci sia un forte investimento nei laboratori, non necessariamente delle scuole, ma una sorta di laboratori cooperativi, anche questi open platform, che prevedano un investimento pubblico e privato e che possano essere utilizzati dagli studenti ma anche da singoli cittadini per l'apprendimento attivo.

Una Politica Industriale, per Liberare l'Impresa e rilanciare l'Industria.

Per rilanciare il Paese è indispensabile una Politica Industriale di alto profilo. E' necessaria una forte discontinuità rispetto alle scelte al ribasso ed ai compromessi del passato anche recente.
Noi siamo pronti a raccogliere la sfida. Siamo pronti al cambiamento, siamo pronti ad aprire la strada della crescita. Oggi più di 60 Imprenditori che rappresentano migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori lanciano un progetto di sviluppo, un'idea di progresso.
E' il giorno della coesione e della consapevolezza. E' il tempo di agire. Il nostro è un invito a cooperare, rivolto alle Istituzioni, alle persone ed a chi le rappresenta, nell'interesse del Paese.
Il cambiamento è in atto e non basta aprire gli occhi, bisogna aprire la mente ed abbandonare schemi ormai superati per abbracciare il nuovo che avanza. E' destinato a mutare il lavoro, l'industria stessa ed anche i rapporti sociali saranno diversi per l'interazione tra nuovi fattori evolutivi (sociali, economici, tecnologici e culturali).
Stiamo ripensando al nostro ruolo con la consapevolezza dell'importante funzione che abbiamo svolto nella Storia del Paese. Una Storia che vogliamo essere liberi di poter continuare a scrivere.
Le nostre idee e le nostre proposte devono rappresentare il cardine di una Nuova Politica Industriale per la Meccanica Italiana.
Una Politica Industriale che liberi l'Impresa.
Che liberi la Fiducia, con Nuove Istituzioni e Nuove Regole, che liberi risorse per Nuovi Investimenti Pubblici e Privati, che liberi l'Ingegno verso l'Industria del Futuro.

Una Nuova Politica Industriale che segni l'inizio del Rinascimento Industriale.